“Un attimo ancora” Lavoro di Ricerca

“UN ATTIMO ANCORA”

Lavoro di ricerca a cura dei ricercatori:
dott. Nicola Cucchi
dott.ssa Eleonora Santoni

in collaborazione con i team Polo9
“Ricerca” e “Terza età”

con il contributo di Intesa San Paolo.

Alzheimer è una parola che fa paura… ma proprio per questo non ci si deve mai stancare di affrontare questa malattia e tutti i problemi che porta con sé. Questa ricerca ha lo scopo di “guardare” l’Alzheimer da un particolare punto di vista: attraverso l’esperienza del “Caffè della mattina”, un esperimento nato a Senigallia, rivolto a persone con la malattia di Alzheimer allo stadio grave.

La ricerca “Un attimo ancora” mette insieme la lunga esperienza di Polo9 sull’Alzheimer e la totale estraneità, su questo tema, da parte dei due ricercatori, Nicola Cucchi ed Eleonora Santoni, da questo “incontro” nasce un lavoro originale e stimolante, capace di suscitare domande, riflessioni e…anche un po’ di serenità.

Buona lettura a tutti

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Contributi extra:

UN ATTIMO ANCORA, I DATI “In Italia si stima che 1,4 milioni di persone soffrono di demenza di cui 600 mila di Alzheimer, classificandosi all’ottavo posto nel mondo per numero di malati certificati. Ma in pochi ne parlano, anche chi lo vive tutti i giorni.
Così abbiamo iniziato questo percorso, io e Nicola, entrando in punta di piedi, ascoltando le parole di chi vive la malattia dell’Alzheimer tutti i giorni, sia per professione, sia perché familiare di una persona malata.
Abbiamo intervistato 5 caregivers, 4 professionisti, una neurologa e un medico di medicina di base.
Ne è emerso un grande bisogno di sostegno, di professionalità, di strumenti idonei a comprendere e affrontare la malattia. Ma soprattutto, dalla ricerca, emerge quanto sia importante per le persone malate di Alzheimer avere una socialità.
E poco importa se questo significa ripetere all’infinito la stessa battuta, lo stesso gesto se poi si riesce a far scaturire un momento felice.
“Un attimo ancora” è un insieme di storie di chi questa storia la vive e l’ha vissuta, e ci consente di comprendere cosa si cela dietro quell’attimo.
È il valore dell’attimo, è il saper essere nel qui ed ora, è apprezzare un brano, una canzone, un gesto che si ripete, anche se viene dimenticato immediatamente.
Come ci ha detto Paola: “Ho imparato da loro come si tiene una mano. Non si può descrivere come si riesca a trasmettere una costellazione di sentimenti semplicemente tenendosi per mano. Sentono davvero se gli vuoi bene! Anche se poi si scordano che hanno mangiato”.
dott.ssa ricercatrice Eleonora Santoni

 

ALZHEIMER, UNA PAROLA CHE FA PAURA “Alzheimer è una parola che fa paura…ma proprio per questo non ci si deve mai stancare di affrontare questa malattia e tutti i problemi che porta con sé.
Questa ricerca ha lo scopo di “guardare” l’Alzheimer da un particolare punto di vista: attraverso l’esperienza del “Caffè della mattina”, un esperimento nato a Senigallia, rivolto a persone con la malattia di Alzheimer allo stadio grave.
La ricerca “Un attimo ancora” mette insieme la lunga esperienza di Polo9 sull’Alzheimer e la totale estraneità, su questo tema, da parte dei due ricercatori, Nicola Cucchi ed Eleonora Santoni: da questo “incontro” nasce un lavoro originale e stimolante, capace di suscitare domande, riflessioni e…anche un po’ di serenità. Buona lettura a tutti”
Anna Gobbetti – Polo9

 

LA SOLITUDINE NELLA FRAGILITÀ “Il tema della demenza, come aspetto di fragilità, rimanda alla condizione psicologica della solitudine, un sentimento soggettivo, caratterizzato da aspetti cognitivi ed emotivi, che ci permette di attribuire significato all’esperienza. Possiamo sentirci soli anche in mezzo a tante persone, o non sentirci soli anche se isolati.
L’isolamento invece ha un valore più oggettivo, è quantificabile ad esempio con il numero di contatti sociali che si hanno o la distanza dai familiari o amici.
Ma i due costrutti hanno una relazione bidirezionale, in quanto possono influenzarsi a vicenda.
La demenza porta frequentemente all’isolamento della persona malata e di tutto il suo nucleo familiare, che ancora oggi spesso vive il disagio di non saper gestire in pubblico eventuali comportamenti bizzarri del proprio familiare e lo stupore delle persone estranee. Con l’intento di proteggerlo dal giudizio e dallo sguardo degli altri, i familiari riducono sempre più le frequentazioni verso un progressivo isolamento; in questo modo la malattia porta ad assottigliare sempre più la rete di relazioni, fino alla perdita di qualunque tipo d’interazione umana al di fuori dell’ambiente domestico.
La solitudine è la percezione soggettiva di non soddisfare il naturale bisogno di vicinanza, di rassicurazione, di riconoscimento di sé, di sicurezza, di amore.
Le persone malate di demenza frequentemente sperimentano sentimenti d’impotenza e frustrazione, che influiscono negativamente sul tono dell’umore e acuiscono la dipendenza dai familiari.
Ecco perché diventano sempre più importanti le relazioni sociali,
si intensifica il bisogno degli altri, perché non si è più sicuri di se stessi, si ha la consapevolezza di non bastare a se stessi, di necessitare sempre più del supporto degli altri, gli altri che nelle fasi più avanzate diventano sconosciuti a livello consapevole, anche se percepiti come significativi, perché il ricordo del sentimento che li ha legati non svanisce.
Accanto alla solitudine del malato c’è quella concreta del familiare, che si trova, solo, a dover gestire tutta una serie di ripercussioni fisiche, psicologiche, emotive ed economiche finanziarie legate all’assistenza del proprio caro. Il nostro territorio per fortuna è in grado di rispondere alle esigenze delle famiglie, almeno fino ad un certo grado di gravità della malattia, ma il carico assistenziale rimane comunque gravoso per la famiglia.
E poi c’è la solitudine del familiare che sperimenta una sorta di lutto durante la vita e deve fare i conti con la percezione e la consapevolezza della morte della relazione, anche se la persona malata è ancora vivente e deve lottare contro gli effetti paralizzanti di un lutto costantemente vissuto al presente.
È un vissuto molto intimo e personale, che avviene in piena solitudine.
La solitudine è inevitabilmente un percorso che attraversa il vissuto del familiare del malato di Alzheimer e del malato stesso; è compito dei servizi, dei centri diurni, dei caffè Alzheimer, ma anche del vicino di casa e della comunità intera, arricchire il mondo delle sue relazioni per mantenerlo vivo più a lungo e migliorare significativamente la qualità della sua vita”.
Barbara Fontana – Polo9